mercoledì 24 gennaio 2007
Il Sufismo ( L’ Affermazione dell’ Unità - Al-Tawhîd: Perché esiste il Velo che separa l' Anima dalla Luce )
martedì 9 gennaio 2007
Il Sufismo ( L’ Affermazione dell’ Unità - Al-Tawhîd: L’ unita dell’ Essere )
![]() |
Il senso profondo più profondo dell’ affermazione dell’ Uno implica il riconoscimento che solo Dio “ è ”. Che egli è come sempre stato, infinitamente vasto, onnipresente, di infinita conoscenza e sotto qualsiasi aspetto.
La formula “ non è divinità se non è Divinità “ può essere espressa anche cosi: “ non vi è realtà se non è La realtà “ o “ non vi è verità se non è La verità “, perché l’essenza divina comprende tutti i nomi e tutte le qualità, e, e ognuno è intercambiabile dal momento in cui si ammette che la divinità non ha solamente un aspetto particolare.
L’ elemento della dottrina che sostiene questa concezione è l’ “ unità dell’ Essere “ ( wahdat al- wujûd ).
Il Corano cosi l’ esprime: Dio è il primo e l’ ultimo, il palese e il nascosto. Essa professa che Dio è il solo “ reale “, il solo assoluto, fuori del quale non c’ è nulla. Tutte le cose sono Nomi e Qualità del mistero divino, e devono la loro esistenza all’ Essere unico, il solo che “ è “. Costui rende inesistente tutto ciò che oltre lui, e per estensione il mondo fisico non ha realtà se non quella di Dio.
Per il mistico, lo abbiamo già detto, lo scopo della ricerca era riconoscere l’ “ unità dell’ Essere “. Realizzandola, prende coscienza che lui è il mondo reale sono tutt’ uno, che non c’ è separazione dall’ assoluto. Ma per questo gli occorre liberarsi della sua natura terrestre r e ritrovare la natura divina che sta nel fondo del suo cuore.
Infatti è in noi stessi che bisogna ricercare l’ essenza divina della Realtà, il vero tesoro. Il Profeta ha annunciato che conosce se stesso conosce il suo Signore, e dice che Dio si era rivelato a lui non solo come se andasse “ verso l’ Esterno “ ( al-zâhir ) – attraverso il mondo creato – ma anche “ verso l’ Interno “ ( al-bâtim ), riferendo che aveva manifestato il mondo ora come l’ uno ora come l’ altro, affinché noi ne conoscessimo l’ aspetto “ interno “ tramite la nostra esteriorità.
Ibn Arabî preciserà che il mondo esterno e finito, il mondo temporale è di fatto il teatro di Dio. “ Si rivela in ogni significato “, ma al tempo stesso è quello nascosto ad ogni comprensione. E spiega che restando nel mondo terrestre non possiamo né vederlo né raggiungerlo, e neppure “ avere scienza “ al riguardo, perché è celato “ dietro a settantamila veli di luce e di tenebre “, cioè da una infinità di esistenze e di alterità illusorie: “ Quanto a Dio, si definisce con la somma di tutte le definizioni possibili “, scrive Ibn Arabî, “ ora le forme del mondo sono indefinite, non si potrebbe comprenderle tutte né conoscere la definizione logica di ognuna, se non nella misura in cui esse rientrano nella definizione di un dato microcosmo. I realtà si ignora la forma logica di Dio, poiché la conosceremmo solo conoscendo la definizione di tutte le forme, il
che è impossibile; comunque non è possibile definire Dio “.
Un’ altra ragione per cui non si può raggiungere Dio né vederlo in questo mondo è che ci troveremmo in piena contraddizione. Difatti se altri lo vedessero, ci vorrebbe dire che esiste una dualità tra lui e la sua creazione. Per questo i sufi affermano che la sua “ unità è senza associato “, che “ Egli vede Se stesso, che nessuno all’ infuori di Lui può vederLo “.
Nessuno sguardo può raggiungere Dio. Non è con i suoi sensi che l’ uomo potrà distinguerlo, ma staccandosi dal mondo fisico e facendo rinascere nel proprio cuore la natura divina. Essendo in tutte le “ forme “, Dio è anche in ciascuno di noi! I sufi dicono: “ Conosco il mio Signore tramite il mio Signore “; e con ciò intendono che occorre perdere prima l’ ego della propria personalità per immergersi in lui.
Ibn Arabî prosegue: “ Colui che nella sua conoscenza di Dio unisce il punto di vista della trascendenza con quello dell’ immanenza e attribuisce a Dio i due aspetti
globalmente, lo conosce veramente, cioè lo conosce globalmente, e non distintamente “.
Un certo numero di sufi ha fatto notare che la dottrina dell’ unità, attraverso la formulazione del tawîd, passa per una gerarchia di gradi.
Dicono che l’ affermazione: “ Non c’ è altro Dio all’ infuori di Allâh “ è il tawhîd della gente del popolo.
“ Non c’ è altro Lui che Lui “ è un grado più su, perché, come dice Sohrawadî, questo tawîd, nega l’ esistenza di tutti i lui ( tutti gli esseri che non siano Dio ), affermando che essi hanno la loro origine in Lui ( in Dio ).
“ Non c’è altro te che Te “ è ancora superiore. Mentre il tawhîd precedente esprimeva un idea di assenza, qui viene espressa una idea di presenza.
Il quarto stadio è quello che abbiamo ricordato prima. Afferma che il pronome “ te “ toglie il dubbio della contraddizione e fa supporre l’ esistenza di una dualità.
Questo quarto tawîd diventa allora: “ Non c’ è altro io che Io “ ed è più elevato del terzo.
Il quinto grado non è formulabile. Afferma che distinzioni tra “ Essere “, “ non essere “, Lui e te o me non esistono in quanto la realizzazione dell’ unità non viene raggiunta. Questo grado è immenso ed è quello del mondo divino.
Sohrawadî dice che un grado ancora più alto di quello che esiste, perché esso è infinito. Racconta anche un giorno fu chiesto a un maestro che cosa fosse li sufismo. Costui rispose: il suo inizio è Allâh , ma fine non è ha.
Questo tawhîd permette a Ibn Arabî di dire: “ In realtà non c’è unione, né separazione, come non c’è allontanamento né avvicinamento. Non si può parlare di unione se non tra due fattori, e non quando si tratta di cosa unica “.
In un certo senso la dottrina dell’ unità può essere vista in ultima analisi come dottrina della conoscenza di se stesso. Essa raggiunge sotto questo aspetto la via della realizzazione spirituale, poiché s’ impegna a far ritrovare in se stesso la presenza dell’ essenza unica, come il santo sulla via spirituale vuole ritrovare nel suo cuore la verità ( haqîqa ) e la perfezione, cercando di realizzare tutte le possibilità della sua condizione, cioè la sintesi delle qualità cosmiche grazie alle quali egli è sia rappresentante di Dio sia identico nella sua anima all’ anima del mondo. Qui infine s’ incontrano la dottrina dell’ unità e quella dell’ uomo universale; e qui tutte e due si associano per liberare l’ uomo dalle dualità dovute alla sua natura terrestre. Questo è dunque il significato finale dell’ unità dell’ Essere: conoscere se stesso per sapere che il proprio essere non è né che l’ Essere stesso di Allâh, indefinibile e non formulabile, il Sé immutabile del mondo.
domenica 10 dicembre 2006
Il Sufismo ( L’ Affermazione dell’ Unità - AL-TAWHÎD )
![]() |
La natura di Allah. L’ Unicità
La shahâda, cioè la professione di fede o il credo della religione musulmana, è che “ non vi è divinità se non è la Divinità “.
Lâ ilâha ill-Allâh
Nella dottrina e nella pratica su fiche non si smette mai di insistere su questa affermazione. Ma se per il semplice credente essa è una evidenza lampante – non c’ è altro Dio all’infuori di Allâh. Allâh è l’ unico Dio – per il mistico ha un significato molto più complesso e più universale, nella misura in cui Allâh si rivela si rivela la sola Realtà che trascende tutti i nomi e tutte le sue apparenze. Per il sufi nulla esiste eccetto questa Realtà. Essa è la Verità una e originale. Il tuttoché è unico r l’ Unico che è tutto.
La testimonianza della Divinità unica è affermata più volte nel Corano – si trova nella suddetta al capitolo 47 – ma più in particolare è nella Sura 112 spesso considerata la più antica, e anche la più nota e recita assieme alla Sura iniziale.
“ Lui, Allâh, è uno.
E’ la pienezza assoluta, bastando a se stesso
che non ha generato e non è stato generato,
che non ha uguale “
Nel Corano e nella Sunna Allâh appare onnipotente, onnipresente, eterno. E’ il tutto misericordioso, redentore, grande, grande, generoso e buono, che domina ed impone la sua volontà, permanente e primo, possessore e signore, che vuole, parla e accorda assistenza… E’ definito con una serie di nomi e di attributi, Vivente, il Maestoso ecc…, che nel numero di novantanove sono stati rivelati e vengono recitati in litania durante le preghiere. Quanto ai suoi attributi, tre testi coranici sono usati correntemente per definire i più importanti:
“ Tutto perisce tranne il suo viso “ - Egli è eterno
“ Non v’è nulla di simile a Lui “ – La sua trascendenza elude ogni analogia con le creature
“ A lui non viene chiesta ragione di ciò che fa “ – Egli è volontà arbitraria
I sufi riconoscono unanimemente questo aspetto di un Dio sovrano (signore e despota) che è quello evocato dalla tradizione nel Corano e nella legge.
Tuttavia secondo loro, l’ unicità ha un’ altra dimensione più interiore e meno carica di direttive, nella quale Allâh appare come causa immanente e perenne del mondo.
Kalâbâdhi espone nel suo trattato un certo numero di qualità riferentisi a questo aspetto più segreto della natura di Allâh. Scrive:
“ Non è un corpo, né un ricettacolo di uno spirito, ne una forma, ne un individuo, ne una sostanza, ne l’ accidente di una sostanza. In Lui non v’ è ne congiunzione ne separazione. Non è ne mobile, ne immobile. Non ha ne parti, ne elementi, ne membra, ne organi, ne direzioni spaziali ne posizioni. Nessun disturbo Lo colpisce. Non sottostà alla successione del tempo. Nessun luogo Lo accoglie, a Lui non si applica nessuna durata. Non potrebbe essere in contatto con alcunché, ne isolato da alcunché, ne localizzato in qualche posto. I pensieri Lo circondano, i veli Lo nascondono e neppure gli sguardi Lo raggiungono”.
L’ ambiguità che grava su questa natura dell’ Unità fa pensare a quella riguardante al principio del Tao nella mistica cinese e la dottrina della non dualità nell’ Advaita Vedanta. Secondo i sufi l’ Essere unico è in realtà increato, non generato, disincarnato, senza nome, e irraggiungibile nel mondo. Nondimeno non vi è nulla di cui non sia al tempo stesso il formatore, possessore e generatore. Non ha forma e non somiglia a nessuna della sue creature o delle sue creazioni, e neppure i suoi attributi somigliano a loro ai loro, però, dicono i testi, è sempre preesistito e ha sempre preceduto gli esseri con un’ origine temporale.
E Hâllâji aggiunge a proposito di questa immanenza:
“ Non v’è un prima che lo preceda, ne un oltre che lo superi, ne un cominciare che lo sorpassi, ne un di fuori che concorra con lui, ne un verso che si unisca a lui ne un dentro che lo individui, ne un quando che lo fissi. La sua perpetuità ha superato la contingenza. La sua esistenza ha superato il nulla. La sua preeternità ha superato la fine”.
Il fatto che tutto torni sempre ad Allâh, che tutto egli impregni della sua presenza, che come dice il Corano, da qualunque lato vi voltiate là vi è il volto di Allâh, ha indotto a dire che la dottrina non afferma che Allâh è il mondo, che è l’ addizione o la divisione di tutte le cose esistenti, ma dice che il mondo non può essere totalmente altro che Allâh. Secondo i sufi Allâh è senza parti, Uno e indivisibile, e in quanto tale rappresenta il solo reale possibile. Ciò che l’ occhio vede e la ragione discerne non può dunque essere considerato come elementi compositi dell’ essenza divina, ma come elementi in cui si manifesta la Presenza dell’ indivisibile totalità di Allâh.
Nella Epistola sulla unicità che rappresenta la più esplicita formulazione del tawhîd attribuita a Ibn –Arabî e anche a un membro della scuola, al-dîn-Balyânî, è detto chiaramente che coloro che professano l’ incarnazione e il panteismo si sono fatti fuorviare dalla sottigliezza delle parole, perché
“ Allâh non è in una cosa e nessuna cosa è in Lui “
L’ Epistola continua:
“ Egli era, e non aveva con Sé ne dopo, ne prima, ne alto, ne basso, ne prossimità, ne lontananza, ne come, ne dove, ne quando, ne momento, ne istante, ne tempo, ne essere manifesto, ne luogo. Ed è oratale e quale era. E’ l’ Unico senza unicità, il Singolar senza singolarità. Non è composto di un nome e di un nominato: perché il Suo nome è Lui e il suo nominato è Lui, e non altro nome o nominato di Lui. Primo senza anteriorità e Ultimo senza posteriorità. E’ l’ Apparente senza apparizione e l’ Occultato senza occultazione… “.
domenica 3 dicembre 2006
Il Sufismo ( L’Affermazione dell’ Essere - AL-TAWHÎD )
LA DOTTRINA
L’ obiettivo centrale del sufismo, sottolineato nella dottrina, sta nel risolvere nell’ unità la dualità creatore-creazione.
In altre parole possiamo dire che ha soprattutto il ruolo di permettere all’ uomo di
realizzare l’ unità divina ( Tawhîd ), di ritrovare la sua natura originaria di “uomo perfetto”, di ricordargli ciò che in realtà o di fargli prendere coscienza dell’ identità assoluta” di tutte le cose e di se stesso.
Seyyed Hossein Nasr ricorda che il sufismo “ parla di tre elementi principali: la natura di Dio, la natura dell’ uomo e le virtù spirituali – le sole cose che possono rendere possibile la realizzazione di Dio e preparare l’ uomo a diventare degno della nobile condizione di ashan taqwîm ( l’ uomo perfetto ).
Questi sono gli elementi eterni del sufismo come di ogni altra via mistica. La fine cioè Dio, il principio di ciò è l’ uomo nella sua condizione terrestre, la via o il sentiero è ciò che unisce l’ uomo a Dio, vale a dire il metodo che fa nascere le virtù spirituali nell’ anima dell’ uomo e la dottrina che tratteggia il profilo di questo universo nel quale il viandante deve passare per raggiungere la presenza divina e conquistare la vera immortalità “.
E’ evidente che la dottrina non può da sola risolvere il problema dell’ unità dell’ essere; essa si limita a presentarlo ed è quindi indissociabile nella sua finalità dall’ esperienza spirituale e del Metodo. Del resto i maestri, insegnando, esponevano i fondamenti dottrinali solo di pari passo con l’ evoluzione spirituale dei loro allievi, e solo dopo che questi bene assimilato le regole fondamentali della legge esteriore, la sharî ‘ a, e dato prova delle virtù spirituali. E se ne comprende la ragione, in quanto la dottrina si rivolge esclusivamente al mentale, mentre la via si richiama all’ intuizione e in ultima analisi all’ amore e al cuore.
I due assi sui quali ruota la dottrina sono l’ unità trascendente dell’ Essere ( wahdat al wujûd ) e l’ uomo universale e perfetto ( al-insân al-kâmil ). Con il primo di questi principi vuole descrivere ciò che è la natura di Dio, l’ unità dell’ essenza che è l’ unica ad “ esistere “ in maniera assoluta, poi la natura della realtà attraverso la nozione di trascendenza dell’ Essere. Con il secondo studia qual è il posto dell’ uomo nell’ universo e come raccoglie in sé la “ teofania totale di Nomi e Qualità divini “.
Qui in realtà termina il proposito della dottrina; il suo ultimo messaggio è in sostanza che l’ uomo altro non è che la “ la grande luce del mondo infinito “. Per sapere come l’ essere prenda coscienza di questa verità infinita, come risolva, realizzi e viva l’ unità del tawhîd dobbiamo entrare nel campo dell’ esperienza spirituale e usare il metodo.
martedì 14 novembre 2006
Al Hallâj ( Mistico Persiano n: Persia merd. 858 ca. – m: Bagdad 922 )
lunedì 13 novembre 2006
Sufismo I Capitolo ( La Natura del Sufismo )
Prima di parlare del sufismo, credo che sia doveroso fare, se pur in modo superficiale e nozionistico, una panoramica sulla differenziazione del mondo musulmano, abbiamo:Sunniti, che sono la grande maggioranza in quasi tutti i paesi islamici,
seguiti dai
Sciiti, che costituiscono la minoranza più consistente (circa il 10%). Essi si richiamano all'eredità di ‘Alī ibn Abī Tālib, cugino e genero di Muhammad, e dei suoi figli al-Hasan b. ‘Alī e, più in particolare, di al-Husayn b. ‘Alī.
Gli sciiti si dividono a loro volta in:
un gruppo maggioritario (duodecimano, o imamita o ithna'ashariyya),
un gruppo minoritario (ismailita, o settimano o sab‘aiyya)
un gruppo ancor più esiguo, detto "zaydita", che teorizza la possibilità che a guidare legittimamente la Comunità Islamica (Umma) possa essere qualsiasi discendente del Profeta purché questi agisca concretamente contro i musulmani reprobi, con deciso impegno militante e che non si abbandoni a un comodo quietismo limitandosi a un'attività puramente teoretica.
Dominante in Persia, lo sciismo è maggioritario in Iraq, in Libano e in Bahrein.
Gruppi di ismailiti sono presenti in India
Lo Zaydismo è prevalente in Yemen.
I kharigiti, un tempo abbastanza diffusi, specialmente in Nordafrica, Iraq e Penisola Araba, si dividevano in numerosi sottogruppi - sufriti, Azraqiti, Najjadāt, Nuqqariti - di cui sussistono solo gli: Ibaditi
Di derivazione islamica ma considerati eterodossi sono invece:
Gli Alawiti, appartenenti a una setta minoritaria d'ispirazione sciita ma con forti tratti gnosticheggianti. Esprime il gruppo dirigente in Siria fin dall'epoca del Presidente Hāfiz al-Asad.
I Drusi, sorti in età fatimide, all'epoca dell'Imàm al-Hākim e presenti in Libano, nella regione montagnosa dello Shūf, in Siria (Golan, Gebel Druso) e Israele.
Gli Ahmadiyya di Qadian (India settentrionale)
I Lahore (Pakistan), fondata da Mirza Ghulam Ahmad.
I Bahá'í, a loro volta gemmati dal Babismo, costretti dalla Rivoluzione Islamica dell'Iran a rifugiarsi in India e in Occidente (soprattutto Canada e Stati Uniti). Sono considerati tuttavia appartenenti a una religione completamente distaccata dall'Islam, e non una sua setta.
L' Ahl-e Haqq.
Conclusione, credo che sia proprio il caso di affermare che la religiosità o spiritualità, comunque la si voglia definire, quando diviene fonte di speculazione umana, questa inevitabilmente subisce una trasmutazione negativa erigendosi a sistema religioso.
Ricordate il detto “ il matrimonio è la tomba dell’ amore”, beh!, credo che “le religioni siano la tomba della spiritualità”, ma non sono qui per parlare di questo, ma bensì del sufismo , che se pure non immune da differenziazioni, queste non sono mosse da primati di discendenza o da diverse forme rituali, ma come vedremo più avanti sono d’attribuire solo ai diversi modi spirituali nel porsi dinnanzi ad Allâh.
Il sufismo è un mondo di alta ricchezza spirituale e culturale, poco conosciuto e poco amato poiché schivo dai giochi umani, non a caso i Sufi non sono ben visti, gran parte del mondo mussulmano, così attento politicamente, economicamente ed ideologicamente e così distratto spiritualmente.
Andando oltre a queste mere e camuffate vicende umane, c’ è da dire che l’ atteggiamento religioso che sta alla base dell’islam è la sottomissione all’ onnipotenza d’ Allâh ed il riconoscimento dell’Unità divina ( al- tawhîd ) ne è l’espressione essenziale, sia essa rivelata dalla Legge cranica o derivata da una realizzazione interiore personale.
L’islam non differente ad altre religioni, ha due aspetti:
L’ aspetto esteriore ch’è costituito dalla Legge rivelata ( sharî ‘ a ) che si occupa dell’osservanza dei riti e degli atti di devozione.
L’ aspetto interiore ( al- tasawwuf ) , che esiste grazie al sufismo, che ha lo scopo di purificazione del cuore di chi lo pratica affinché costui si confonda con Allâh.
Il sufismo è detto anche la “ verità “ ( haqîqa ) ed è nato alla fine del primo secolo dall’ egira ( VIII secolo d.c. ) ed è vivo ancor oggi, sebbene in certi periodi della sua storia sia stato messo al bando.
Tutti i musulmani credono nell’ Unità, cosi come espressa nel Corano, impregnando tutte le forme della dottrina e della pratica religiosa, ma ciò che distingue il sufi dal normale credente è il desiderio di liberarsi dal mondo della molteplicità senza indugio, guardando all’ essenza della legge, ma al tempo stesso la supera.
Il sufi “ ha il corpo in se, nel senso, che può condurre alla conoscenza immediata dell’eterno” (Titus Burckhardt)
Il sufismo, lo si può considerare come la via interiore dellì Islam, poiché attraverso le esperienze personali tende a favorire un ravvicinamento dell’essere e della Realtà estrema, con il fine di poter accedere alla coscienza di tale realtà, cioè annientarsi o fondersi con essa.
Tutti i metodi sufici d’ iniziazione vanno in questa direzione; ed è qui che l’ islamismo raggiunge le vie della realizzazione che si trovano nelle altre religioni e “vie”: induismo, taoismo, mistica cristiana, buddismo ecc.
E’ ovvio che il camino seguito non è lo stesso, ma la finalità è comune.
Il sufismo è la via induttiva cioè conduce dall’ individuale all’ universale, dal mondo delle apparenze all’Unità, come del resto avviene per l taoismo mistico, per il Vedanta nell’ induismo ecc. , quindi si può affermare che in pratica il sufismo contempla due grandi campi principali: quello delle verità universali e quello della realizzazione dell’ uomo attraverso i vari gradi della vita.
Il primo campo comprende i punti della dottrina e la conoscenza che se ne può avere, questo aspetto metafisico aspira a farci comprendere qual è la natura della Realtà e quale il posto dell’ uomo in essa, ma questo non è volto ad ottenere una conoscenza teorica delle cose quanto di averne l’ intuizione o la certezza.
L’ organo che agisce è il cuore, al di là, della ragione, e la visione della realtà e quindi una visione del cuore, quindi c’è uno stato dinamico d’interdipendenza e d’intersecazione tra l’uomo e la Realtà e la metafisica è sempre concepita secondo l’ottica della via e della realizzazione spirituale.
Il secondo campo è il ruolo del sufismo di condurre l’ uomo allo stato di santità, cioè di interezza e purezza perfetta, dove l’ uomo diviene il protagonista più universale e più completo del mistero divino e ricordandogli costantemente quello che egli è, attuando in lui una trasformazione progressiva che gli permette di staccarsi dal mondo fisico.
Tale trasformazione evolutiva-spirituale opera su diversi piani, come affermano: Léo Schaya, Seyyed Hossein Nasr ed altri, per esempio il piano cosmologico, escatologico e psicologico, anche se, in fine la realizzazione è sempre la stessa, qualunque sia la maniera di esprimerla e il piano in cui agisce, in quanto è il cuore che brucia d’amore, la personalità che abbandona l’ego e tutti i legami sensibili, rafforza quel legame dell’ uomo con Allâh.
“sono divenuto Colui che amo e Colui che amo è divenuto in me” ( al-Hallâj, il più grande mistico del X sec.
Inoltre c’è da aggiungere che il cammino dell’ adepto ch’è intento ad arrivare al grado di purificazione non può esimersi dal rispetto della legge e dalla pratica religiosa essoterica, in quanto l’ iniziazione è un metodo, dove i
neofiti devono seguire una guida, considerato il rappresentante della “ catena “ che risale fino al Profeta.
I metodi d’ iniziazione sufica sono diversi, di conseguenza costituiscono diverse vie “ tarîqa “ed ognuna delle quali deriva dall’ esperienza di un grande maestro storico, iniziatore della “ confraternita “, queste corrispondono alle varie “ vocazioni ” manifestatesi , e pongono i discepoli in un rapporto molto stretto, da una parte con le guide immediate, dall’altra con tutta la “ catena “ dei maestri che hanno condivisi la stessa scuola. C’è da sottolineare che tutte queste vie sono tutte inserite nell’ insieme del sufismo e mirano al medesimo scoppo, differendo solo in alcuni punti di dottrina e riti osservati.
Nessuna respinge gli obblighi della legge, di conseguenza non si determina una scissione all’ interno dell’ Islam con il sufismo.
Il discepolo, lungo tutto il suo itinerario spirituale, cerca di acquistare le “ virtù “ che devono operare in lui la “ trasformazione “ spirituale.
“ queste virtù cardinali costituiscono una maniera di essere la Verità, come la dottrina è una maniera di conoscerla” ( Éva de Vitray-meyerovitch)
Per avere queste virtù il discepolo passa per tutta una serie di tappe che variano per numero e qualità secondo i maestri e le tarîqa:
- un certo grado di comprensione, o una presa di coscienza dell’ Unità divina
- una realizzazione in atto consistente nella progressiva rinuncia davanti alla divinità. È chiamata la “ povertà spirituale “ (al-faqr) e contiene di fatto tutte le virtù
- un’ integrazione affettiva basata sul dono della grazia e dell’ amore, che trova sostegno nella invocazione di Allah ( dhikr ) e nella concentrazione della mente
- un adempimento che, sul piano della dottrina, è l’ unione con Allah e sul piano umano la scoperta del tesoro nascosto, celato nel più profondo della persona.



