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Il senso profondo più profondo dell’ affermazione dell’ Uno implica il riconoscimento che solo Dio “ è ”. Che egli è come sempre stato, infinitamente vasto, onnipresente, di infinita conoscenza e sotto qualsiasi aspetto.
La formula “ non è divinità se non è Divinità “ può essere espressa anche cosi: “ non vi è realtà se non è La realtà “ o “ non vi è verità se non è La verità “, perché l’essenza divina comprende tutti i nomi e tutte le qualità, e, e ognuno è intercambiabile dal momento in cui si ammette che la divinità non ha solamente un aspetto particolare.
L’ elemento della dottrina che sostiene questa concezione è l’ “ unità dell’ Essere “ ( wahdat al- wujûd ).
Il Corano cosi l’ esprime: Dio è il primo e l’ ultimo, il palese e il nascosto. Essa professa che Dio è il solo “ reale “, il solo assoluto, fuori del quale non c’ è nulla. Tutte le cose sono Nomi e Qualità del mistero divino, e devono la loro esistenza all’ Essere unico, il solo che “ è “. Costui rende inesistente tutto ciò che oltre lui, e per estensione il mondo fisico non ha realtà se non quella di Dio.
Per il mistico, lo abbiamo già detto, lo scopo della ricerca era riconoscere l’ “ unità dell’ Essere “. Realizzandola, prende coscienza che lui è il mondo reale sono tutt’ uno, che non c’ è separazione dall’ assoluto. Ma per questo gli occorre liberarsi della sua natura terrestre r e ritrovare la natura divina che sta nel fondo del suo cuore.
Infatti è in noi stessi che bisogna ricercare l’ essenza divina della Realtà, il vero tesoro. Il Profeta ha annunciato che conosce se stesso conosce il suo Signore, e dice che Dio si era rivelato a lui non solo come se andasse “ verso l’ Esterno “ ( al-zâhir ) – attraverso il mondo creato – ma anche “ verso l’ Interno “ ( al-bâtim ), riferendo che aveva manifestato il mondo ora come l’ uno ora come l’ altro, affinché noi ne conoscessimo l’ aspetto “ interno “ tramite la nostra esteriorità.
Ibn Arabî preciserà che il mondo esterno e finito, il mondo temporale è di fatto il teatro di Dio. “ Si rivela in ogni significato “, ma al tempo stesso è quello nascosto ad ogni comprensione. E spiega che restando nel mondo terrestre non possiamo né vederlo né raggiungerlo, e neppure “ avere scienza “ al riguardo, perché è celato “ dietro a settantamila veli di luce e di tenebre “, cioè da una infinità di esistenze e di alterità illusorie: “ Quanto a Dio, si definisce con la somma di tutte le definizioni possibili “, scrive Ibn Arabî, “ ora le forme del mondo sono indefinite, non si potrebbe comprenderle tutte né conoscere la definizione logica di ognuna, se non nella misura in cui esse rientrano nella definizione di un dato microcosmo. I realtà si ignora la forma logica di Dio, poiché la conosceremmo solo conoscendo la definizione di tutte le forme, il
che è impossibile; comunque non è possibile definire Dio “.
Un’ altra ragione per cui non si può raggiungere Dio né vederlo in questo mondo è che ci troveremmo in piena contraddizione. Difatti se altri lo vedessero, ci vorrebbe dire che esiste una dualità tra lui e la sua creazione. Per questo i sufi affermano che la sua “ unità è senza associato “, che “ Egli vede Se stesso, che nessuno all’ infuori di Lui può vederLo “.
Nessuno sguardo può raggiungere Dio. Non è con i suoi sensi che l’ uomo potrà distinguerlo, ma staccandosi dal mondo fisico e facendo rinascere nel proprio cuore la natura divina. Essendo in tutte le “ forme “, Dio è anche in ciascuno di noi! I sufi dicono: “ Conosco il mio Signore tramite il mio Signore “; e con ciò intendono che occorre perdere prima l’ ego della propria personalità per immergersi in lui.
Ibn Arabî prosegue: “ Colui che nella sua conoscenza di Dio unisce il punto di vista della trascendenza con quello dell’ immanenza e attribuisce a Dio i due aspetti
globalmente, lo conosce veramente, cioè lo conosce globalmente, e non distintamente “.
Un certo numero di sufi ha fatto notare che la dottrina dell’ unità, attraverso la formulazione del tawîd, passa per una gerarchia di gradi.
Dicono che l’ affermazione: “ Non c’ è altro Dio all’ infuori di Allâh “ è il tawhîd della gente del popolo.
“ Non c’ è altro Lui che Lui “ è un grado più su, perché, come dice Sohrawadî, questo tawîd, nega l’ esistenza di tutti i lui ( tutti gli esseri che non siano Dio ), affermando che essi hanno la loro origine in Lui ( in Dio ).
“ Non c’è altro te che Te “ è ancora superiore. Mentre il tawhîd precedente esprimeva un idea di assenza, qui viene espressa una idea di presenza.
Il quarto stadio è quello che abbiamo ricordato prima. Afferma che il pronome “ te “ toglie il dubbio della contraddizione e fa supporre l’ esistenza di una dualità.
Questo quarto tawîd diventa allora: “ Non c’ è altro io che Io “ ed è più elevato del terzo.
Il quinto grado non è formulabile. Afferma che distinzioni tra “ Essere “, “ non essere “, Lui e te o me non esistono in quanto la realizzazione dell’ unità non viene raggiunta. Questo grado è immenso ed è quello del mondo divino.
Sohrawadî dice che un grado ancora più alto di quello che esiste, perché esso è infinito. Racconta anche un giorno fu chiesto a un maestro che cosa fosse li sufismo. Costui rispose: il suo inizio è Allâh , ma fine non è ha.
Questo tawhîd permette a Ibn Arabî di dire: “ In realtà non c’è unione, né separazione, come non c’è allontanamento né avvicinamento. Non si può parlare di unione se non tra due fattori, e non quando si tratta di cosa unica “.
In un certo senso la dottrina dell’ unità può essere vista in ultima analisi come dottrina della conoscenza di se stesso. Essa raggiunge sotto questo aspetto la via della realizzazione spirituale, poiché s’ impegna a far ritrovare in se stesso la presenza dell’ essenza unica, come il santo sulla via spirituale vuole ritrovare nel suo cuore la verità ( haqîqa ) e la perfezione, cercando di realizzare tutte le possibilità della sua condizione, cioè la sintesi delle qualità cosmiche grazie alle quali egli è sia rappresentante di Dio sia identico nella sua anima all’ anima del mondo. Qui infine s’ incontrano la dottrina dell’ unità e quella dell’ uomo universale; e qui tutte e due si associano per liberare l’ uomo dalle dualità dovute alla sua natura terrestre. Questo è dunque il significato finale dell’ unità dell’ Essere: conoscere se stesso per sapere che il proprio essere non è né che l’ Essere stesso di Allâh, indefinibile e non formulabile, il Sé immutabile del mondo.

1 commento:
You write very well.
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